“Caro Meridione ti scrivo…” lettera di una giovane emigrata biscegliese

Il tema dell’emigrazione dei giovani meridionali è il tema centrale di questa epoca in Italia. Un Sud che si impoverisce di risorse e di talenti sembra non vedere alcun motivo perché ci sia una inversione di tendenza. Sul tema le amare riflessioni della giovane amica Antonella Caputi in questo intervento che pubblichiamo volentieri di seguito.
Caro Meridione,
avrei preferito che questo momento non fosse mai arrivato ma purtroppo, come mi hanno insegnato, nella
vita accadono cose quando meno te l’aspetti.
È una lettera d’addio, questa. Non una di quelle strappalacrime, come, chi mi conosce sa che son solita fare,
anzi; cercherò in poche righe di spiegare quanto mi hai saputo dare e quanto, ad oggi, non riesci a dar più.
Ricordo come fosse ieri quell’ulivo che mi rendeva fiera di essere meridionale, che mi faceva ombra quando
leggevo un libro, che rileggevo nelle etichette dei prodotti all’estero, che mi abbracciava quando dormivo
sulla mia madre terra. Era un giorno semplice quello, era infatti semplicemente uno di quei giorni che
associo ad un banale ricordo. Era, di per sé, un giorno in cui non avrei mai pensato di dover abbandonare
quell’ulivo lasciandolo in una terra che, in previsione, sarà una terra per vecchi. Chi ci penserà, poi, a te?
Se l’Italia è un paese per vecchi, sicuramente tu ne hai il primato. O per lo meno è quello che le statistiche
cantano come furono cantate le gesta d’Achille dai più grandi oratori. Con veemenza e costanza.
Ricordo anche quelle stazioni, così piene di lacrime e tristezza, che mi hanno sempre intimorita; ora sono il
posto che frequento con più assiduità. Mi riconosco nei volti che un giorno mi mettevano malinconia, ora
sono uno di quei volti. L’ennesima figurina di un album senza fine. Tento di non incrociare volontariamente
alcuno sguardo, specie quello vergine dei bambini, perchè vorrei non trasmettere loro ciò che, a quei tempi,
quei volti avevano trasmesso a me. È presto capire, per loro, che se ami qualcuno lo lasci andare, il più
lontano.
E sì, perché è questo quello che fai. Questo tuo grande amore ti spinge a mandarci via, il più lontano
possibile. Il Nord, tuo acerrimo nemico da sempre, beneficia dei frutti che continui a creare, ma che da qui a
qualche anno, smetterai di produrre. Quel Muro di Berlino senza muro che vi divide dall’era dei tempi,
quando ancora il Muro di Berlino non era nei progetti di qualcuno. Quel Muro di Berlino che noi Italiani
saremo in grado di abbattere con la stessa probabilità che venga costruito un ponte tra l’Italia e la Sicilia.
Qui cito in giudizio troppi moralisti. Meglio tacere.
A pensarci, dunque, saranno quei vecchi che saremo costretti ad abbandonare, che mediamente per
ognuno di noi hanno investito una vita di stenti e sacrifici, ad occuparsi di quel che resterà di te. Loro che
avranno più bisogno di noi, in un paese attorniato da una superficie infinita di aridità; un bisogno pari al
nostro bisogno di un lavoro che ci renda giustizia, o che quantomeno la rendi a loro. Ai nostri vecchi.
In un giorno di poco tempo fa ero al McDonald, mentre affondavo i miei dispiaceri di fronte ad un panino
con più conservanti che grassi, e la ragazza che mi serviva contemporaneamente risolveva un problema di
una ragazza cinese, come se parlare cinese fosse una cosa normalissima per lei. Una cameriera del
McDonald. Solo dopo ho scoperto che è laureata da tre anni in lingue orientali e fa fatica a mantenere in
piedi le sue necessità primarie, coi lavori precari che le hanno proposto e con stipendi medi coi quali non
riuscirebbe neanche a pagare un posto letto a Milano. E sì, perché ne ho tanti di amici, meridionali e non,
che vedo smazzare dietro il bancone di un bar o di una birreria, con in tasca una laurea in giurisprudenza,
ingegneria o architettura. Mai usata.
Si parla di fuga di cervelli e si sostiene che noi meridionali faremmo bene a non laurearci e che piuttosto
sarebbe meglio imparare quei mestieri che ora son affidati a gente emigrata da te, scappata da situazioni di
fame e guerra del loro paese, che si accontenta di te, il Paese dei Balocchi. Proprio noi, che giorno per
giorno, ci rimbocchiamo le maniche per scrivere quella pagina bianca di cui parlava il buon Jova, sulla quale
ora ci ritroviamo ad abbozzare un curriculum che non sarà mai abbastanza per le aziende. Certo che ​
scappiamo, abbiamo alternative? Restiamo in attesa di una risposta ad un colloquio tra i tanti che resterà in
bilico come un equilibrista.
Ho smesso di mangiare le unghie da tempo, ma è come se lo facessi tutt’ora; mi urta l’idea che per noi
meridionali è risaputo, sin dalla nostra nascita, che tanto “prima o poi” dobbiamo andar via da te dopo
l’Università. Ma dov’è scritta ‘sta condanna? In quale Vangelo? Perché, d’altronde, so già che in risposta a
questo qualsiasi persona potrebbe dire, con aria di sufficienza, che potremmo metter radici dove siamo nati,
impegnandoci un po’ di più. Sì, e magari metter su famiglia e fare figli che non saremmo mai in grado di
crescere e mantenere dignitosamente, figli che lasceremo ai nostri vecchi mentre noi ce la smazziamo tra
un ristorante e l’altro mendicando mance.
Nei prossimi dieci anni un ragazzo su tre ti lascerà, cercherà fortuna dove sgomiterà con altri, che
sgomiteranno con altri. Perché il mondo è grande quanto una noce di burro necessaria per imburrare una
padella e il tuo posto nel mondo non è solo quello dove ci lasci il cuore, ma dove ci sono speranze e dove
potrai sfamare la tua fame di successo. Dove la meritocrazia non è solo un mantra, ma IL mantra.
Forse un giorno tornerò da te, piena di vita e piena di sogni, magari quando sarò vecchia abbastanza,
rammaricata che invece per te sarà sempre peggio, e triste per il fatto che il mio grande amore per te si sia
trasformato col tempo in pietà.
Resto qui dunque sospesa a te, come fosse quel momento prima del volo dell’angelo, col cuore in gola e il
fiato corto, ancora ignota di quel che sarà di te e di quel che sarà di me senza di te.
Antonia Maria Caputi (Antonella)

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