Nomine, esilio e qualche mal di pancia

Nell’Arcidiocesi di Trani-Barletta-Bisceglie s’è compiuta una piccola grande “rivoluzione” ecclesiastica. Il decreto di riordino del clero emanato da mons. Leonardo D’Ascenzo annovera sorprese. È un atto che recepisce anche le diverse e lunghe attese. Fermentano le critiche degli scontenti nelle sagrestie “carbonare”, che ricordano gli scribi e i farisei. Nella malcelata obbedienza si dimentica di dover essere centro aggregativo, riferimento per gli “ultimi”. Spesso questo ruolo di neutralità e di impegno della Chiesa viene meno, contagiati dall’effimero, dall’indisponibilità.

Nel quarto anno del suo episcopato, nel complesso scacchiere della rinomata Arcidiocesi adriatico-ofantina, spiccano le “mosse” compiute da mons. D’Ascenzo, il timido pastore di Valmontone. Cambiamenti, alcune delle quali auspicate nella vox-fedeli (la fine anticipata del rettorato del Seminario di Delcuratolo, sostituito dall’ottimo don Davide Abbascià); altri non condivisi (il trasferimento di don Fabio), per rilanciare una Chiesa rattrappita. Si pensi, per esempio, al patrimonio culturale di archivi, biblioteche e musei, anch’essi importanti per una completa azione pastorale, ma poco valorizzati. Bene anche il ruolo dato a don Giuseppe Abbascià.

Ottima scelta per il vicario generale don Sergio Pellegrini, persona seria, equilibrata e soprattutto preparata. Il decreto reso noto “urbi et orbi” decorrerà dal 1 settembre. Si preparano già le valigie. C’è chi parte, chi resta. Ma una rondine non fa primavera. Lo sa bene il presule mons. D’Ascenzo, che precisa tra le righe: “i cambiamenti si sono resi necessari per il bene comune della comunità ecclesiale”. Una mini riforma, quindi, tendente a spronare i giovani presbiteri a rimboccarsi le maniche, a seminare vocazioni sempre più scarse, facendo leva sulla fiction “Don Matteo”. “In questi anni abbiamo cercato di riconoscere, interpretare, scegliere quanto lo Spirito ci suggerisce oggi per essere sempre più Chiesa, mistero di comunione e missione”, giustifica il pastore. In parole povere: si ha bisogno di “uno sguardo nuovo, illuminato dalla luce del Risorto”. Non c’è da dargli torto, se l’abito talare tornasse al suo fascino puro, alla sua missione”.

LUCA DE CEGLIA

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