Veneziani e la crisi del centrodestra in Puglia: «Qui sono rimasti gli orfani. E pensano solo a litigare»
«Dopo Mimmo Mennitti e Giuseppe Tatarella qui c’è la destra degli orfani. E la stessa Adriana Poli Bortone assessore a Matera e Alfredo Mantovano in magistratura sono un chiaro segnale della sconfitta per un’intera area politica. Chi poi resta in campo si segnala solo per la litigiosità»: ecco la fotografia impietosa che lo scrittore e politologo Marcello Veneziani riserva al centrodestra pugliese, sconfitto nei ballottaggi di Lecce e Taranto nelle ultime amministrative.
Il fronte conservatore ha trionfato nelle elezioni di giugno. Tranne in Puglia. Da fortino a punto debole: come si spiega?
«Le ragioni sono principalmente due: la fragilità di alcuni candidati, poco radicati nel territorio, e la mancanza di un partito egemone nel centrodestra. la Lega non esiste, Fratelli d’Italia è piccola realtà, neanche Forza Italia se la passa bene. Poi c’è una costellazione di soggetti, il partito di Fitto. E così domina il torcicollo».
In che senso?
«Se dici centrodestra, pensi al passato, a Berlusconi e alla tradizione dell’alleanza in Puglia».
Lecce e Taranto erano due battaglie simboliche, perse in maniera rocambolesca. Cosa è mancato?
«Non c’è stato un vero leader: un capo avrebbe avuto una visione generale. I candidati vanno scelti per vincere, non per accontentare i capibastone».
Nel capoluogo salentino decisivo è risultato Alessandro Delli Noci, ex An e Fli: arrivato terzo al primo turno, snobbato dal centrodestra, si è alleato con la sinistra.
«È una situazione recidiva. Anche alla Regione si è perso per dare prove dimostrative del proprio potere e della propria ostinazione».
Ha fatto scappare anche il voto per la sinistra salentina della figlia di Adriana Poli Bortone, Annalisa, motivato con il non voler essere tra i “sudditi” di Raffaele Fitto.
«E’ un contesto paradossale. Nella Seconda Repubblica Lecce ha prodotto tre leader di respiro nazionale: Poli Bortone, Mantovano e Fitto. Il mancato accordo tra i tre ha minato gli orizzonti dell’alleanza».
Poi c’è l’esperienza civica del movimento di destra eretica Andare Oltre, che dopo aver vinto a Nardò, ha sbancato a Galatina e contribuito alla vittoria della sinistra a Lecce. Una anomalia?
«C’è una classe dirigente ex An, composta da giovani validi, sottovalutata per seguire troppo i vecchi giochi».
Impazzano le polemiche interne. Il capogruppo FI Caroppo chiede la moratoria dei risentimenti tra i vari leader. Strada percorribile?
«In teoria sì. Non basta darsi una mano: non ci vuole una svolta morale, ma un accordo politico».
Vitali rileva una debolezza della gamba destra della coalizione: Fdi e Lega non raccolgono abbastanza consensi. Il momento populista, come sostiene Alain de Benoist, è già finito?
«Il populismo cresce e decresce senza una razionalità, per un insieme di fattori. Non ho mai creduto a un futuro populista, né che possa evaporare in fretta. In Puglia il populismo è stato meno efficace anche perché la destra non era marginale, ma una forza di governo. Paradossalmente sono stati più populisti Vendola o Emiliano dei candidati di centrodestra».
La partita per il sindaco di Taranto?
«È emersa la mancanza strutturale di programmi autorevoli. Poi quando viene prodotto qualcosa di buono, non c’è risonanza mediatica. Nella città dei due mari mi aveva colpito il fervore a destra di giovani come Andrea Piepoli. È mancata una leadership in grado di intestarsi il risanamento della città ionica».
Emiliano rivendica la forza del modello Puglia per il centrosinistra.
«Non c’è un modello Pd premiato nelle amministrative. Taranto e Lecce sono due storie a se stanti. A Canosa che fine ha fatto il modello del governatore? Esiste una sinistra con le sue contraddizioni, come altrove».
Il rinnovamento in un centrodestra perdente nelle grandi sfide dal 2004 da dove dovrebbe partire?
«La politica è ferma alla pesca delle occasioni e alle botte di fortuna. Dalle ceneri di An e dall’eredità di Tatarella non è venuta fuori alcuna leadership, nemmeno FI ha saputo valorizzare questa eredità. È necessario piantare semi per creare nuovi alberi o sperare che dal nulla emerga, come erba selvatica, un giovane brillante in grado di diventare un leader».
fonte: corrieredelmezzogiorno