La sindrome del gattopardo

Serpeggia tra i cittadini un mix indefinibile di sentimenti che vanno dalla paura alla rabbia e che trovano un comun denominatore nello smarrimento di fronte a una situazione che non vediamo ancora sotto controllo e che non capiamo come possa venire superata

Non se ne sono accorti in molti, a giudicare dai pochi commenti, comunque finalmente è arrivata. Che cosa? La scivolata,  la figura che in gergo si dice farla “fuori dal vaso” e che prima o poi deve arrivare in una città come la nostra. Con un po’ mdi pazienza, arriveremo a scoprire chi è il colpevole, i cittadini ignari lo hanno sotto gli occhi, specie coloro che ad ogni piè sospinto si vedono chiedere green pass da coloro che nella città vogliono assurgere al ruolo di Kapataz o Talebani di etnia pashtun.

I cittadini si stanno accorgendo che la città sta vivendo una pericolosa deriva e tutto ciò non solo per colpa di una amministrazione poco incline al bene civico, ma anche per atteggiamenti di certuni che si credono tutti Godzilla frutto di cambiamenti genetici, la città è finita in fondo al precipizio. E da lì continua a scavarsi la fossa, senza un limite al peggio. Forse un titolo più giusto per questo scritto sarebbe dunque “il modo di vivere la città è morto”, o “la maleducazione, la prepotenza ha vinto”. Sta di fatto che ogni santo giorno che passiamo ne vediamo di brutture da far rivoltare la pazienza anche ad un santo. Questo quando va bene.

Oggi la nostra città sembra caduta in una sindrome che il grande sociologo polacco Baumann ha definito “retrotopia”, una malattia sociale che presenta il cambiamento come un incubo e vagheggia la necessità di tornare indietro, verso un tempo noto, rassicurante e, soprattutto, dotato di straordinarie potenzialità che altri ci vorrebbero negare o nascondere. Gli affetti da “retrotopia” tendono a considerare nemici tutti coloro che evocano la necessità di cambiare e di guardare verso il futuro. L’effetto pratico delle azioni di chi porta con sé questa sindrome è molto simile alla frase che ha reso celebre Giuseppe Tomasi di Lampedusa: “Bisogna cambiare tutto per non cambiare niente”. Il Gattopardo è un libro straordinario, ma non può essere un programma da applicare ad una comunità.

Il fatto.

Martedì 7 u.s., presso il piazzale antistante la Basilica di San Giuseppe, ex CDP, si è tenuto un concerto aperto al pubblico, in una città che dopo la spaventosa tragedia scritta dal COVID 19 si sforza per ritornare alla normalità, il Kapataz o Talebano di etnia pashtun di turno, spaventava con toni forti, le persone che in quel piazzale si erano recati per distrarsi un po’, chiedendo con insistenza e prepotenza il tanto vituperato green pass senza che lo stesso fosse richiesto dagli organizzatori della manifestazione.

Il vocio della gente ha portato subito ad intendere che la nostra Bisceglie, rispecchia la tragedia di una Italia dove la prepotenza intimorisce il malcapitato cittadino. Si poteva capire l’intervento del Kapataz, se al posto della prepotenza, avesse mostrato tanto di disposizione o ordine di servizio al quale si doveva attenere. La leggerezza con cui l’atteggiamento sempre del Kapò fa pensare che non si vuol dare la giusta importanza alla legalità che secondo i malcapitati cittadini sottoposti allo sproloquiare del tizio, significa per la Città e per chi ha organizzato l’evento, una fonte di investimenti proprio su ciò che costituisce la più grande ricchezza di ogni comunità, la cultura, oltre ai settori in cui essa opera. Per colpa di un Talebano fideista, ridurre – con il suo atteggiamento – l’offerta di cultura, significa depotenziarne l’impatto, impoverire le coscienze che quel patrimonio che è la cultura stessa, dovrebbero almeno comprenderlo, per farne occasione di arricchimento, senza danneggiarlo. Cacciare le persone dal piazzale, maltrattarle e offenderle evidenzia che la Città non gode di ottima salute se si affida nelle mani di questi soggetti un patrimonio che oggi va tutelato e cioè le persone in quanto tali e giammai barattoli da far rotolare. Se si volge lo sguardo alla città e al territorio nella sua interezza il brutto sembra prevalere sul bello e sullo stile. Cosa ha determinato tutto questo e in che modo è possibile affrontare e risolvere il problema di tale criticità? Certamente un’attenta selezione del personale che si assume per svolgere certi compiti che dovrebbero essere più vicini al bon ton e non a chi forse è più uso a frequentare luoghi da angiporto.

Ritornando alla retrotopia: la “retrotopia” è contagiosa, soprattutto se prevalgono paura e rabbia. A Bisceglie la “retrotopia” è una sindrome nuova, che non si era mai vista prima. Proprio per questo è molto pericolosa, anche se fa molto comodo a chi vorrebbe che poco cambiasse per poter rimanere in sella. Se Bisceglie non cambia, perde se stessa e si allontana dal resto del Paese, consegnando a paura e rabbia una storia fatta di coraggio e speranza.

One thought on “La sindrome del gattopardo

  1. Non conosco a fondo i fatti mi sembra di capire ci sia stato un abuso in nome del “green pass”….ma organi di controllo non ci sono mai in determinati contesti? Qualora ci fossero stati, certamente il “talebano o Kapapaz” di turno non sarebbe esistito….credo.

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