Bari. Il pacifismo si risveglia e torna in piazza insieme a Don Giovanni Ricchiuti per fermare la guerra

Un quasi “La montagna che ha partorito il topolino” parlando di Bari e della sua marcia della Pace di sabato scorso. Senza la benché minima accusa agli organizzatori, ci mancherebbe, ma nulla a che vedere col passato e proprio in riferimento al capoluogo pugliese. Altri tempi, altra politica, altra sensibilità religiosa e civile, nessun confronto possibile, però, tra l’oggi e quanto realizzato da Politica e Chiesa insieme, nel lontano 1990: quando, cioè, personalità del calibro di Giulio Andreotti, quale Capo del Governo italiano, e di un Papa e poi anche Santo come Karol Wojtyla (e con l’aiuto operoso di mons. Vincenzo Paglia e della Comunità di Sant’Egidio) decisero di comune accordo che fosse proprio da Bari che dovesse partire una grande iniziativa mondiale per cercare di fermare la guerra decisa dagli Usa contro l’Iraq. E al tempo non si trattò di una semplice manifestazione di piazza, bensì di un vero e proprio Meeting Internazionale di portata storica: “Uomini e Religioni”, una tregiorni fitta di incontri e colloqui che ha visto a raccolta nella Città di S. Nicola, quale perfetto “Ponte di Pace tra Oriente ed Occidente” per posizione e storia, tutti i Capi delle Religioni del Mondo con le loro delegazioni, per poi concludersi con un’imponente marcia finale e l’accensione nella Basilica dedicata al “Vescovo di Myra” di una fiamma della Pace e della Speranza.
Una folla, quella di allora e di quei “soldati di Dio” – come pure furono chiamati – che più internazionale e prestigiosa di così è impossibile addirittura pensarla. E non solo per l’eccellenza, ma anche per numero di presenze che, guardando le immagini del tempo, appare nettamente superiore ai manifestanti riunitisi in piazza Libertà due giorni fa, prima di sfilare in corteo per il centro di Bari. Forse neanche i 2000 riportati dalla stampa, non c’è dubbio che sono stati di gran lunga inferiori i partecipanti, almeno rispetto a quelli previsti e dovuti, considerato l’impegno delle quasi 40 sigle (tra religiose e associative) e il patrocinio di istituzioni e di quasi una ventina di Comuni a questa iniziativa inserita nel solco di “Europe for Peace” e, con chiaro invito, propedeutica al grande raduno organizzato a Roma per il 5 novembre prossimo. Al grido di “Tacciano le armi, negoziato subito” per promuovere una Conferenza Internazionale di Pace, una manifestazione che, oltre a un certo interesse dei media, ha avuto quantomeno il merito aver cercato di risvegliare dal torpore e dall’indifferenza la gente. Questo d’altronde lo specchio, in scala locale, di quello che succede anche a livello nazionale. Come se questa guerra ormai mondiale di USA e Nato contro la Russia, non ci riguardasse direttamente e quindi vissuta dai più con irragionevole leggerezza e rifiuto della realtà. Già, quasi fosse un reality show o una delle tante guerre nel Mondo di cui nessuno parla, e non di un sanguinosissimo conflitto in piena Europa ed in cui siamo coinvolti di fatto anche se, per fortuna e almeno per adesso, non ancora ufficialmente cobelligeranti.
Eppure stiamo parlando di una guerra i cui effetti già si avvertono pesantemente e che, uscendo dal velo d’ipocrisia che la circonda, è se vogliamo la responsabile della maggior parte dei nostri guai attuali e della crisi paurosa che sta piegando tutta l’economia del nostro Paese e creando gravi squilibri e divisioni in quella «Europa Cristiana che respira con due polmoni: quello dell’Occidente e quello dell’Oriente» (SGiovanni Paolo II che fino a ieri godeva di buona salute grazie alla stabilità garantita da una pace che durava da 70 anni. Quella che probabilmente non pensava nemmeno di sconvolgere lo stesso Putin, prima del fatale errore di valutazione che lo ha portato ad invadere l’Ucraina e non sappiamo ancora il vero motivo, considerando che solo l’anno prossimo il suo nemico più diretto, Zelensky, difficilmente sarebbe stato rieletto in patria. Sta di fatto che è restato senza risposta l’appello del Capo del Cremlino alla smilitarizzazione di questo “Stato fratello” e confinante che, non più un cuscinetto contro un sempre più spinto espansionismo Nato, si stava trasformando ai suoi occhi in una vera e propria minaccia sempre più armata (nascostamente dall’Occidente) e direttamente a ridosso della sua Russia. In sintesi, stando anche all’analisi dei maggiori intellettuali, la spiegazione di tutto, insieme alla vecchia questione irrisolta del Donbass, e pure del perché questo conflitto si sarebbe potuto evitare se solo lo si fosse voluto veramente.
Pressoché innegabile, infatti, che se ci fosse stata sul nascere una vera trattativa diplomatica internazionale – e le avvisaglie c’erano tutte e da tempo – questa guerra non sarebbe neppure cominciata. Eccoci invece adesso in un pericolosissimo conflitto mondiale, dall’escalation imprevedibile, e dalle vie d’uscita vicine allo zero. Salvo un miracolo o, traducendolo in realtà, la discesa in campo e in forze de “il più grande esercito del Mondo”: quello “della Pace e della non violenza” che, senza contare i laici o altre Fedi vanta, solo tra Cristiani Cattolici e Ortodossi, quasi 1,5 miliardi di “soldati di Dio” presenti in ogni angolo della Terra e in tutte le istituzioni. E cioè l’unica “grande armata” che adesso può davvero far la differenza e spingere a sedersi ad un tavolo di trattative, almeno per un cessate il fuoco immediato, Biden e Putin. Un primo passo per magari negoziare persino un ritorno a più o meno uno status quo ante bellum che sventi non solo il rischio di una guerra che possa annullare l’Umanità intera, ma anche il consolidarsi di un nuovo ordine mondiale con un accresciuto a dismisura Gigante Asiatico, Cina in testa, senza rivali possibili in nessun campo. Sempre Zelensky permettendo, però. Perché ormai assurto al ruolo di leader mondiale sembra ora lui a poter dettare, a nome di tutti, le condizioni per qualsiasi trattativa di pace, nonostante sia forte di una forza non sua, ma quella di un Occidente che lo arma e lo sostiene sotto ogni profilo.
Ma che una diversa  interpretazione di come stiano le cose cominci ad affiorare nella coscienza collettiva, al di là della narrazione corrente che impera sui principali media,  è proprio in questa manifestazione di Bari che ha trovato una sua  plastica conferma e, specificatamente, nel caos di questo corteo a più anime e dove si è visto davvero di tutto: dal fotografatissimo “più caschi da lavoro che elmetti di guerra” tra rutilanti bandiere della CGIL (cartello che paradossalmente molti hanno interpretato come un j’accuse ai  leader della sinistra fotografati in elmetto e che, in tutt’uno col Governo Draghi, si sono schierati da subito con Usa e Nato per una guerra ad oltranza contro la Russia) a slogan urlati di “Italia fuori dalla Nato”, fino ad arrivare  ad un “Bella ciao” intonato dagli studenti, ma spentosi però quasi sul nascere guardando le facce che li osservavano. Insomma un tutto, e il contrario di tutto, che può anche spiegare il perché della mancata partecipazione di massa a questo appuntamento che, in ritardo di otto mesi rispetto all’invasione dell’Ucraina e con sigle molto “connotate” a promuoverlo, ha mosso in tanti il sospetto si trattasse in realtà di un tentativo delle sinistre di rispolverare il tema della Pace per poi portarlo nella scia di un pacifismo sotto bandiere soprattutto “arcobaleno” e rosse. Cioè un’occasione preziosa per riguadagnare consenso e “piazza”, realizzando quella “mobilitazione dal basso, da Bari, e a guida Decaro” per una spinta per la Pace, che partisse dalla Puglia, come invocata dal politologo barese Beppe Vacca.
Dubbio peraltro rafforzato dalla spaccatura del PD barese, riportata pure dalla stampa, e che, alla vigilia dell’evento, ha ufficializzato la non partecipazione di una sua componente di peso per una frase di troppo che, a suo avviso, non garantiva a sufficienza la dovuta “equidistanza tra aggressore ed aggredito”, come da disposizioni in materia dettate dal segretario nazionale Enrico Letta. Senza contare che a questa “Manifestazione Regionale la Puglia per la Pace”, e lanciato dalla Rete dei Comitati costituita ad hoc, aderivano ufficialmente solo 6 tra i partiti e movimenti politici regionali, e tutti d’area (Europa Verde, Partito Comunista Italiano, Rifondazione Comunista, Risorgimento Socialista, Sinistra Italiana e Unione Popolare). Quanto è bastato a far decidere a una massa di persone di non affacciarsi nemmeno, pur sapendo della partecipazione di sindaci, lavoratori in crisi e anche di associazioni cattoliche. Probabilmente la ragione della presenza a questo appuntamento pure di monsignor Giovanni Ricchiuti, vescovo di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti e Presidente della “Pax Christi” che di certo non poteva mancare qui come rappresentante della Chiesa, pur sapendo che contemporaneamente a Roma  iniziava l’incontro internazionale “Il grido della Pace – Religioni e Cultura in dialogo”: ancora una tregiorni promossa dalla Comunità di Sant’Egidio, come quella di Bari del ’90,  cui partecipano gli esponenti delle grandi religioni mondiali insieme a importanti rappresentanti della cultura e delle istituzioni provenienti da oltre 40 Paesi e con la presenza anche di massime autorità di Stati esteri per un incontro in calendario con Papa Francesco. E dunque la Chiesa si sta già muovendo, eccome, per la Pace. Ora spetta alla Politica, e non certo solo dal basso, dopo l’investitura popolare che ha voluto un nuovo Governo, ma con tutta l’autorità che le deriva dall’essere alla guida di un Paese fondatore dell’Europa, nonché Nazione, geopoliticamente parlando, più importante del Mondo. Non solo il destino dell’Italia è ora dunque nelle mani del neoeletto Esecutivo, ma quello dell’Europa e dell’intero Pianeta.
Enrico Tedeschi

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