De Ceglia rimette indietro le lancette dell’orologio: ricorda il “Trullo Verde” e la sua epoca
Ferma il tempo Luca De Ceglia, anzi lo fa tornare indietro. Di trent’anni. E racconta dell’epoca del Trullo Verde, di qual’era il suo aspetto paesaggistico, delle serate giovanili trascorse nel trullo-chiosco, con la signora Palmina che vendeva patatine e bevande analcoliche, mentre la gioventù dell’epoca, quella genuina, con poco alcol e senza droga, si svagava a conclusione di giornate dedicate agli studi e al lavoro, ascoltando i dischi 45 giri del jukebox, o sfidandosi a calciobalilla o al flipper. Fino a far tardi; il tardi degli anni ’80 erano le 22, le 23 per chi avesse voluto trasgredire e “fare notte”.
Di seguito, la “fotografia” visiva e raccontata per iscritto di quei giorni, di quegli anni, di quel tempo.
*** Svetta ancora, s’affaccia su un pezzo di mare Adriatico. Da tempo immemorabile sul lungomare di Bisceglie esiste il “Trullo verde” simbolo di quella che fu la civiltà rurale. È sopravvissuto al cemento, e negli anni ’90 è stato integrato nel contesto di un avveniristico teatro all’aperto, luogo di spettacoli che superano la soglia della capienza. Oggi centinaia di giovani, protagonisti della cosiddetta movida, colorata da panini e tintinnanti bottiglie di vetro, passano o sostano con molta frequenza accanto al mitico “Trullo verde”. Ma loro non sanno cos’era quarant’anni fa quella costruzione d’arte parietara, con strutture di legno senza pretese. Non ci fu mai chiarito perché era denominato “verde”. Era un luogo in cui si disputavano epiche partite di calcio balilla. Al massimo, per trasgredire, ci si attaccava alla canna (non quella di oggi a base di erba) di una bottiglia d’acqua, prima di tornare a casa, a piedi (altro che bus navetta e taxi parentali). Ore piccole? Macchè. Il tramonto fungeva da orologio ed il telefonino era un extraterrestre. Le ragazze, nelle rare volte che uscivano di casa, dovevano rientrare prima. Storie di adolescenti. Il “Trullo” era gestito da una signora di nome Palmina, originaria di Melfi, che aveva ottenuto la licenza per la vendita di bibite analcoliche. Ma c’è l’aspetto più importante da ricordare, ovvero quello paesaggistico. Dal “trullo” di riverberavano le varie terrazze (oggi “solarium” e danzatoi) coltivate a pomodoro per la “sèrte” (in dialetto è più efficace), quei pomodori a grappolo che oggi non si vedono più appesi all’esterno delle abitazioni a pian terreno e con cui venivano preparate prelibate “cialdelle”. Un bel giorno (anzi brutto) come in assetto da guerra spuntarono dal promontorio del vicino camping “la batteria” (detto così perché fu luogo di sosta della contraerea nella seconda guerra mondiale) una serie di ruspe. Fu l’inizio della fine per la suggestiva zona del “Trullo verde” che, tuttavia, deve la sua “vita” all’architetto milanese Clavarino, progettista che trasformò il lungomare da “rustico” a turistico, cancellando per sempre uno scenario naturale che non crescerà più.
Luca De Ceglia