Veneziani sul caso Charlie Gard: poi ci sono «i ‘clinicamente corretti’ ma nazionalisti sulla sua pelle»

La vicenda di Charlie Gard sta tenendo l’opinione pubblica con il fiato sospeso ormai da settimane. Fra udienze, scontri, prese di posizione e notizie che si susseguono di ora in ora, la vita del piccolo Charlie diventa sempre di più un caso; con i genitori che lottano strenuamente per avere il diritto di portarlo altrove, contro la decisione dei giudici di non iniziare quella che ritengono una inutile sofferenza per il bambino.

La questione, lo ricordiamo, verte sulla possibilità di una nuova terapia da sperimentare che a questo punto, se concessa, scongiurerebbe l’ipotesi che al piccolo venga staccata la spina del respiratore artificiale che lo tiene in vita. E, come ovvio, il tema è assai delicato perché coinvolge la sfera della libertà, della dignità, della vita e della morte. Su questo IntelligoNews ha sentito il giornalista e scrittore Marcello Veneziani. 

Charlie Gard: dal diritto di vivere al dovere di morire? 

”Con qualche sfumatura. Credo si possa dire in generale che la vita entra in un programma, come la morte: così nasce il ”clinicamente corretto”, secondo cui tutto ciò che non sottosta alle regole del morire e del vivere programmato viene considerato di troppo e quindi oggetto di rimessa in discussione proprio della libertà e della dignità di vivere e di morire”.

Secondo lei questo caso è paradigmatico della laicizzazione delle leggi che si tenta di imporre, sul modello nordeuropeo, secondo cui si decide chi deve morire prima di nascere, chi dopo essere nato. Il problema di fondo, in casi come questo, alla fine è la disabilità: perché c’è differenza fra inguaribilità e incurabilità. 

”Se poi inseriamo questa specie di clausola e la estendiamo anche ad altre fasi di età, possiamo dire che tutti i vecchi che sono rami secchi improduttivi, che quindi come tali diventano un onere sociale e che sono ormai a vita conclusa possono essere in qualche modo ‘affrettati’ nella loro volontà di sopravvivenza: siamo al di là dell’eutanasia che comunque comporta una scelta o qualcosa che somiglia ad una scelta del diretto interessato. Siamo ad una programmazione, come nelle socialdemocrazie del Nord Europa di qualche anno fa che già prevedevano questi profili di vita e di morte, e come tali si ripresentano. Dalla Svizzera alla Svezia, passando per l’Olanda e in parte per l’Inghilterra, c’è questo tipo di cultura, che probabilmente deriva anche da una radice protestante o calvinista, se così possiamo dire”.

Abbiamo assistito ad uno scontro fra genitori e giudici addirittura sulla calotta cranica del piccolo, che non sarebbe cresciuta abbastanza…

”Sì, e poi la cosa più grave è che, ammesso che in Inghilterra i referti dicano che non c’è speranza, ma si vuole dare ai genitori la possibilità di portarlo in altra nazione, dove invece queste prospettive e programmi che sono protocolli atti a tentare almeno la strada di una salvezza sono ancora praticati? Perché impedire anche questo? Se il destino è comunque morire, che si accetti almeno il rischio di mandarlo all’estero, non capisco questa intolleranza e questo principio territoriale e nazionalista, stavolta applicato alla pelle di un bambino”.

L’Italia è vista dai laicisti come una sorta di fanalino di coda, per via della presenza della Chiesa, rispetto all’introduzione di certi tipi di discorsi. Oggi, però, dopo l’interessamento del Papa e del Bambino Gesù, possiamo parlare di modello su temi come questo, contro la deriva laicista. 

”Sì, e forse quel che conta è la visione cattolica della vita, rispetto a quella derivata dal calvinismo e poi tradotta nel laicismo; c’è una sostanziale differenza, e credo che in questo modo l’Italia, Roma si facciano valere per questa sua peculiarità. A me pare una lotta culturale e civile di dignità che va anche al di là del motivo confessionale, e credo vada ascritta con orgoglio alla civiltà cristiana mediterranea e cattolica italiana”.

fonte: intelligonews

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