Erica Mou: traslochi, amori e irrequietezza nell’album “Bandiera sulla Luna”
Bandiera sulla Luna. È un titolo ambizioso (e a tratti fraintendibile) quello scelto da Erica Mou per il suo nuovo album, un lavoro che porta nello spazio, ma che probabilmente nasconde un significato quanto più umano e terreno possibile e che va ad arricchire di un importante capitolo la discografia di un’artista che negli anni sembra aver voluto raccontare un percorso di vita in movimento, in costante evoluzione.
Se il primo disco, È, rappresentava la nascita di un’identità e di una sensibilità durante l’adolescenza in un piccolo paesino, Contro le onde, invece, raccontava al contempo l’amore per i propri luoghi e la voglia di affrontare le avversità per andare oltre e scoprire qualcosa di nuovo. Il penultimo lavoro, Tienimi il Posto, sembrava infine trarre ispirazione dal momento del distacco, della separazione, rappresentata insieme dall’allontanamento da casa e dalla perdita di un familiare.
A questo punto della storia Erica è volata via insieme al palloncino che alla fine di ogni live dell’ultimo tour lasciava libero in aria tagliando il filo che lo legava ad una sedia. Ed è proprio da quel taglio che nasce questo quarto, splendido viaggio: Svuoto i cassetti, il primo brano del cd è una riuscitissima uptempo, caratterizzata da una strofa fra il parlato e il rap, che racconta la sensazione destabilizzante che accompagna un trasloco definitivo, quel momento in cui si fa una valigia e si parte per l’ignoto abbandonando ogni certezza.
Questo disco, però, parla principalmente di quello che succede dopo essere andati avanti per la propria strada, dopo essere giunti in quel posto che si guardava da lontano, dopo aver messo una bandiera su quella luna che rappresenta sogni ed aspettative, ma che spesso non è perfetta come sembra a chi non l’ha ancora raggiunta. E così, fra un trasloco, una storia d’amore lasciata indietro (Roma era vuota) e una relazione che non riesce ad evolversi (Non so dove metterti) viene fuori cristallina la vera anima di questo lavoro, un’anima nostalgica e irrequieta.
E non a caso il brano simbolo di questo disco, nonché il più riuscito, si intitola proprio Irrequieti. Vera e propria poesia musicata, questo pezzo racconta di come l’animo umano sia portato a conquistare, a volere sempre di più, ma poi ad abbandonare tutto e a spostarsi altrove. Azzardando un paragone fra gli insetti che si bruciano nei lampadari ed Icaro che muore avvicinandosi troppo al sole, Erica rivela qui la più grande verità che scopre chiunque parta per nuove mete allo scopo di trovare qualcosa di più: i luoghi non cambiano le persone, le loro imperfezioni e le loro paure, ma si rivelano invece tutti molto simili tra loro, facendo semplicemente da sfondo ai turbamenti interiori di ognuno e alla solitudine (lo vedi / che non c’è differenza / tra il muro di una fortezza / e quello della tua stanza / se dentro c’è la guerra?).
Per certi versi Bandiera sulla luna è dunque il disco più triste di Erica. Tra le righe di brani come Arriverà l’inverno si avverte palpabile la nostalgia (ragazzo che incarni il tuo tempo / … / cosa ci fai / cosa ci fai con me / che sono legata al passato / che sono devota all’eterno?), mentre nella conversazione narrata in Ragazze posate si avverte una stanchezza inedita nelle produzioni della cantautrice di Bisceglie, che con amarezza disincantata dipinge il quadro di due amiche semi-ubriache che ragionano sulle loro scelte sbagliate in auto, con fierezza, supportandosi a vicenda, ma anche con una sincera capacità di ammettere le proprie debolezze.
È questo in effetti ciò che rende Erica Mou unica nel suo genere, la capacità di raccontare argomenti importanti o emozioni intense focalizzandosi sui piccoli dettagli, coniugando dolcezza e amarezza in modo da non risultare mai né stucchevole né deprimente.
Altra tematica portante del disco, oltre all’allontanamento, è, in maniera quasi complementare, il ricordo, appiglio al quale aggrapparsi nel momento di sconforto e luogo della riflessione su ciò che ci si è lasciati alle spalle. In Souvenir, il cui titolo è già un chiaro riferimento alla memoria, Erica non fa altro che ripercorrere il passato, la cui carica emotiva confluisce in un ritornello inquieto, cantato in francese, nel quale la voce soffusa della cantautrice si contrappone ad un deciso riff di chitarra.
La canzone esplode nel bridge, dove viene messa in evidenza la fiducia in una memoria profonda che non ha bisogno della bussola degli oggetti fisici per orientarsi nei meandri del ricordo (mio padre / scrive le date dietro le foto sbiadite / tua madre / le tiene mischiate dentro i cassetti pieni / a noi restano solo telefoni rotti / ma non preoccuparti / io scatto le foto con gli occhi).
I ricordi riaffiorano anche in uno dei capolavori del disco, Canzoni scordate, ballad in cui la voce di Erica si mostra inizialmente delicata e sottile ma si presta con agilità ad una melodia che sa farne venire fuori i lati più decisi e quelli più fragili. Il pezzo è elegantemente arrangiato con chitarra e archi, che reclamano sempre più il loro spazio fino a diventare colonna portante del pezzo con volteggi ed evoluzioni. Proprio gli archi danno un’elemento importante di identità alle sonorità di questo disco, che si distaccano per questi spunti lirici da quelle affini ma più asciutte del disco precedente.
È L’unica cosa che non so dire a chiudere l’album con ironia e un tocco naif. Un languido arrangiamento basato sull’uso di distorsioni accompagna un testo giocoso che si conclude con un taglio improvviso del brano, che resta incompiuto, spezzato, così come rimane spezzato l’ascolto di questo disco, un lavoro che lascia spaesati come chi ha appena fatto un passo avanti mettendo la propria bandiera sulla luna e si appresta a vivere una nuova vita, che in realtà, nella sostanza, potrebbe non essere così differente dalla vecchia.
fonte: fourzine.it